Dalla tesi finale di Margherita De Laurentis

Dalla tesi finale di Margherita De Laurentis (relatore M. Luca Belloni) per il diploma accademico di II livello in discipline musicali, indirizzo interpretativo-compositivo (2007) al Conservatorio di Adria: “Drammaturgia e vocalità in Sequenza III di Berio e Favola di Molino”, riporto alcuni passi di un’intervista fattami dalla De Laurentis.

9) Perché la musica contemporanea, al contrario della “classica”, rimane riservata ad una nicchia di ascoltatori? Colpa del commercio o anche di educazione? Quanto sono coinvolti in tutto ciò i conservatori?

Colpa sicuramente della mancanza di educazione, ma sa che secondo me è colpa innanzi tutto di tanta musica contemporanea che è solo brutta? Se l’avanguardia è sempre e solo ricerca, alla lunga non cerca più, diventa un atteggiamento fittizio, al di là delle migliori intenzioni. La negazione della tradizione, prolungata e senza sufficienti motivi può far perdere ogni gusto, in chi scrive e quindi in chi ascolta. Può diventare un gioco arido. Se ci si chiedesse non solo contro chi siamo, ma soprattutto con chi, ci si aiuterebbe a… far musica. In ogni civiltà della storia il segno distintivo del valore del singolo uomo è stato nell’appartenere a qualcosa, prima che nel distinguersi (un esempio per tutti: il valore che si dava ad essere civis romanus, cittadino romano).
I conservatori sono il luogo di tutto ciò, nel bene e nel male. Ci sono sicuramente molti conservatori, e molte classi dei vari conservatori, che fanno ancora una lavoro egregio. Certo, oggi oltre che essere bravi musicisti occorre affinare la capacità di immaginare e di adattarsi a diverse modalità che devono nascere dal nuovo ruolo di scuole superiori a livello universitario.

10) Mi congratulo con un’amica che si laurea in “Musica vocale contemporanea” e mi risponde che dopo un biennio di sola musica dodecafonica ed aleatoria ha un gran bisogno di tornare a “cantare”. Dopo un attimo di disorientamento mi sono chiesta se ero dinnanzi ad un episodio di “surplus” lavorativo o invece davanti ad una naturale predisposizione che l’uomo può avere nei confronti delle cosiddette armonie consonanti (in senso ampio). Qual è il suo commento in proposito?

Descritta così mi fa l’impressione della reazione di una musicista che abbia lavorato seriamente sul contemporaneo. Credo che la musica contemporanea d’avanguardia, scritta bene, abbia una funzione utile per l’esecutore. È vero anche però che un buon interprete lo è se esegue ogni tipo di musica; eseguire solo quella antica o solo quella contemporanea di per sé non è un buon segno. Tornando alla reazione della sua amica, chi studia seriamente la musica d’avanguardia non può non sentire la sana nostalgia per la melodia e la tradizione. Occorrerebbe che anche i compositori (soprattutto dell’Europa continentale, escludo in parte gli anglosassoni) dessero valore a questa “nostalgia” e riflettessero sulla presenza dell’elemento negativo della tradizione ma anche di quello affermativo di essa in compositori dell’importanza di Schönberg e Stravinskij.
Certo, penso che non serva far studi trascendentali per affermare che la consonanza, con la relativa armonia, e ancor più la melodia siano l’elemento caratteristico più importante della musica occidentale, cioè dalla tradizione cui in un modo o nell’altro apparteniamo, quello che tra l’altro la distingue dalla radice africana, che ha sviluppato in modo unico il ritmo, come dai vari ceppi orientali (India, Cina) dove il timbro ha un’importanza particolare.

11) Dovesse proporre dei brani contemporanei come classici di ascolto? 

Credo che sia utile partire dall’inizio della crisi europea della tradizione tonale: Mahler, Richard Strauss, e poi da tutti i grandi del primo novecento: dopo i due grandi sopra ricordati, tutti gli altri russi (a partire da Scriabin), i francesi da Debussy e Ravel ma anche Poulenc, gli altri austro-tedeschi: Berg e Webern ma anche Weill; Bartok, Dallapiccola e Petrassi, Ives, Britten, qualcosa dei “profeti” dell’avanguardia post-weberniana: Stockhausen, Boulez, Ligeti, ma anche Castiglioni; Penderecki ma anche Lutoslawski. Tra i più recenti mi sembrano significativi Pärt, Gorecki.
Soprattutto credo che sia importante l’esperienza sincera dell’ascolto, con la curiosità di chi cerca e che si sofferma e approfondisce non appena gli sembra di aver trovato una maggiore corrispondenza.